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PARERE SVOLTO DI DIRITTO PENALE: RIFIUTO DI ATTO D'UFFICIO (2014)

TRACCIA

"La notte del 20 settembre 2014 Alfa, ricoverato presso una struttura assistita dell’ospedale Pincopallino, perdeva conoscenza e non rispondeva in alcun modo ai primi soccorsi apprestati all’interno della struttura. 
Accertata la sussistenza di un forte stato di febbre, Gamma, medico di turno della citata casa di ricovero, insieme all’infermiere Delta, contattava Beta, medico di turno sull’autoambulanza del servizio 118, il quale rifiutava di trasportare in un’idonea struttura sanitaria il paziente Alfa, ignorando le ripetute richieste di trasporto urgente avanzate dai due.
La difficile situazione costringeva di fatto Gamma e Delta a contattare l’autoambulanza proveniente da un ospedale più distante. 
Beta, dal canto suo, insisteva nel giustificare la sua mancata attivazione e l’assenza di ricovero di Alfa presso una più idonea struttura, ritenendo che la richiesta di intervento fosse irregolare, in quanto formulata direttamente da un altro sanitario che si trovava presso lo stesso nosocomio dove egli prestava servizio, invece che filtrata dalla centrale operativa del servizio 118."

SVOLGIMENTO

Il caso in esame rientra nell’ambito applicativo dell’art. 328 comma 1 c.p.

La norma, così come conosciuta ed applicata attualmente, è stata introdotta dall’art. 16 l. n. 86/1990 ed ha sostituito la precedente formulazione: il nuovo reato di “rifiuto di atti d’ufficio” copre una casistica minore rispetto a quanto accadeva in precedenza, limitando la pena ai casi in cui l’omissione riguardi un atto di ufficio che andrebbe compiuto senza ritardo per ragioni di giustizia o sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene o sanità.

Sebbene capiti sovente che, come nel caso di specie, un privato si trovi ad essere leso dal rifiuto, il reato di cui all’art. 328 c.p., con particolare riferimento al comma 1, protegge il bene del buon andamento della P.A., con la conseguenza che è la P.A. a ricoprire il ruolo di persona offesa. 
Nel caso in cui la lesione di un pubblico interesse dovesse essere coincidente con un interesse privato, sarà onere del giudice adito ad accertare la coincidenza dell’interesse (Cass. n. 32019/2003). 
Con riguardo alla lesione dell’interesse del soggetto che materialmente viene leso dal rifiuto, la giurisprudenza è oscillante, ritenendo in alcune pronunce che in caso di lesione del privato il reato possa diventare plurioffensivo (tra le altre, Cass. n. 32019/2003, Cass. n. 1181/2000).

L’atto che dà luogo al reato è un “non facere”, un rifiuto o un’omissione di un atto a cui l’agente è tenuto in ragione del suo ufficio. Il rifiuto non dev’essere necessariamente espresso, in quanto è sufficiente un comportamento concludente di inerzia, ma è importante che il rifiuto o l’inerzia seguano ad una richiesta o ad un ordine. 
A tal proposito, tuttavia, si segnala una visione non uniforme, sussistendo pronunce (ex. Cass. n. 5482/1998) che configurano il rifiuto anche quando, indipendentemente da una richiesta o da un ordine, sussista un’urgenza sostanziale.
Tale visione, sebbene minoritaria, si basa certamente sull’evidente impronta della norma, volta a garantire il compimento, da parte di agenti della P.A., di atti particolarmente rilevanti in relazione a beni essenziali e costituzionalmente garantiti, quali sono appunto la giustizia, la sicurezza e l’ordine pubblico, l’igiene e, come nel caso di specie, la sanità. L’atto preposto alla tutela di quest’ultimo interesse pubblico, forse più di tutti gli altri, se ritardato rischia di comportare le conseguenze più gravi, determinando anche il rischio della perdita del bene vita da parte del soggetto danneggiato. 

In realtà l’effettiva realizzazione delle conseguenze derivanti dall’omissione (tra cui appunto anche il rischio per la vita del danneggiato) non assumono rilevanza ai fini della consumazione del reato, che sussiste nel momento in cui è realizzato il rifiuto (reato immediato). Il bene tutelato dalla norma, che si ricordi essere il buon andamento della P.A., è leso in quel momento, a prescindere dalle conseguenze del rifiuto, che del resto si realizzano sovente su un terzo soggetto rispetto a quello tutelato dalla norma. Ne deriva che trattasi di un reato di pericolo.

Il rifiuto di atto d’ufficio è un reato proprio, che può essere commesso solo da un soggetto qualificato come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

La prima domanda da porsi è se Beta possa rivestire tale qualità.

È evidente che un medico di turno sull’ambulanza del 118 non possa rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, intendendosi per tale, ai sensi dell’art. 357 c.p., colui che forma o concorre a formare la volontà della P.A. o che svolge la pubblica funzione per mezzo di poteri certificativi o autoritativi.

L’incaricato di pubblico servizio, spesso associato al pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 358 c.p. è colui che, pur non svolgendo pubbliche funzioni, non presti meramente opera materiale. Per qualificarlo non è necessario un rapporto di lavoro subordinato con la P.A., ma occorre riferirsi all’esercizio della funzione concretamente svolta. Il pubblico servizio è un’attività in cui manca l’esercizio dei poteri tipici della pubblica funzione, ma che è disciplinata nelle stesse forme di quest’ultima.

Nel caso in esame Beta è un medico di turno sull’autoambulanza del servizio 118, pertanto dipendente dell’Azienda Sanitaria Locale. 
La Cassazione si è espressa nel 2006 nel definire i dipendenti dell’ASL quali incaricati di pubblico servizio, non avendo la privatizzazione del rapporto di impiego inciso sulla rilevanza pubblica della funzione, volta alla tutela della salute, che costituisce fondamentale diritto dell’individuo ed interesse collettivo (Cass. n. 769/2006).

Appurato che Beta ha le qualità personali idonee a renderlo agente nel reato in esame, è necessario valutare se, in relazione alle circostanze del caso e delle sue dichiarazioni, la condotta tenuta possa ritenersi lecita, in quanto giustificata dall’irregolarità della richiesta di intervento. Va precisato, a tal riguardo, che il rifiuto di atto d’ufficio si configura quando non vi sia alcuna ragione tale da legittimare il rifiuto, pertanto è configurabile una giustificazione alla condotta nel caso in cui la legge, un atto della P.A. competente o l’assoluta impossibilità giustifichino la condotta omissiva.

Posto che nel caso di specie non sussisteva assoluta impossibilità, resta necessario comprendere se una legge o un atto della P.A. competente dettassero casi legittimanti il rifiuto.

Nei fatti vero è che l’atto richiesto necessita, per essere eseguito, del passaggio dal filtro organizzativo della struttura dell’ufficio, tuttavia questo step è necessario ai fini dell’individuazione del P.U. o dell’incaricato del pubblico servizio che deve adempiere. 

In altri termini l’interposizione della struttura rappresenta solamente una delle fasi del procedimento esecutivo ed ha natura strumentale, è funzionale ai fini di una miglior organizzazione della struttura sanitaria e delle risorse. La sua natura la rende inidonea ad interporsi tra la fonte dell’obbligo ed il soggetto tenuto ad adempiere, per cui l’omissione di questo passaggio non scalfisce in alcun modo l’obbligo in questo caso dell’incaricato di pubblico servizio, il quale deve svolgere questa mansione per fini ben più rilevanti di quelli burocratici ed organizzativi a cui è improntata l’interposizione della struttura sanitaria nello smistare le chiamate.

Oltre a quanto detto, è utile ai fini della soluzione del caso di specie la considerazione che nel caso di omissione di atti d’ufficio in materia sanitaria, il rifiuto deve riguardare un atto indefettibile, nel senso che un suo ritardo può provocare un pregiudizio irreparabile in relazione al bene della salute fisica o psichica del cittadino. Nel caso in esame l’indefettibilità era evidente dalle condizioni cliniche del paziente, il quale aveva perso conoscenza e non rispondeva agli stimoli di sollecitazione esterna a seguito di uno stato febbrile acuto ed era stata prospettata da due diversi operatori sanitari.

Qualora tale improrogabilità sia stata prospettata al medico di pronto soccorso del 118 da un altro esponente del personale medico e ciononostante il primo rifiuti il trasporto del paziente presso idonea struttura, si configura il reato di cui all’art. 328 c.p., a nulla valendo l’opposizione riguardante il mancato rispetto delle procedure dettate per la richiesta di intervento. Tanto è stato confermato dalla recente pronuncia n. 34402/2011 della Corte di Cassazione.

L’analisi svolta porta univocamente a ritenere che Beta sia colpevole del delitto di cui all’art. 328 c.p., non potendo la sua condotta omissiva essere in alcun modo giustificata da una mera inesattezza procedimentale relativa alla richiesta di intervento. Tale inesattezza non può compromettere la tutela dell’interesse protetto dalla norma.


Disclaimer: la traccia del parere è liberamente ispirata da un parere rinvenuto nel testo edito da CEDAM, "Pareri motivati di diritto penale", a cura di Giuseppe Cassano (2012). 
Lo svolgimento è integralmente scritto di mio pugno.

Se deciderai di svolgere questo parere e se dovessi averne voglia, puoi inviarmi tramite commento o messaggio privato via e-mail la tua soluzione, sarò felice di leggerla e di discuterne con te!


Buon lavoro

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