di CRISTINA SPARACINO
"Laureata in giurisprudenza nel luglio 2011, con votazione 106/110, ho compiuto negli ultimi due anni la pratica forense presso uno studio legale specializzato nella materia del diritto di famiglia. Ho conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione delle Professioni Legali di Bari lo scorso ottobre 2013, e al momento continuo a studiare per il prossimo concorso in magistratura, per la preparazione del quale ho frequentato il corso tenuto dal Consigliere di Stato Francesco Caringella."
L'argomento che ci si accinge ad affrontare è stato di recente oggetto di vivace dibattito giurisprudenziale.
Il quesito posto all'attenzione della giurisprudenza è il seguente:
"laddove non si addivenga ad un impossessamento della cosa altrui per cause esterne ed indipendenti dalla volontà è configurabile un'ipotesi di tentativo di rapina impropria o sarà configurabile al contrario una forma di concorso tra le due fattispecie di furto tentato ed altro reato con elemento costitutivo la violenza o minaccia?"
Per scandire e ben comprendere le varie teorie al riguardo formatesi, occorre far chiarezza sulla configurabilità del delitto di rapina.
Quest'ultimo è disciplinato dall'art. 628 c.p., il quale al primo comma punisce chiunque per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene, con la reclusione da 3 a 10 anni e con la multa da € 516 a € 2065.
Al secondo comma si stabilisce che alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.
La fattispecie di rapina prevista dal I comma è detta “rapina propria”, quella contenuta al II comma “rapina impropria”.
Stando alla lettera del II comma, anche nella forma di rapina impropria vi deve essere stata la sottrazione del bene, motivo per cui ci si è domandati:
"e se la sottrazione non avviene per cause non imputabili alla volontà?"
Le varie impostazioni da parte della giurisprudenza si possono inglobare nel più ampio discorso del principio di legalità, cardine nel nostro ordinamento penale, il quale stabilisce che nulla poena sine lege,nullum crimen sine lege,ossia non può sussistere alcuna fattispecie criminosa con relativa pena se non sono le stesse previste da norme imperative. Quindi è fondamentale una copertura legislativa.
L'art. 25 Cost. è la norma che, assieme ad altre disposizioni del cod. pen. (artt. 1-2-199-200), racchiude tale principio nel nostro ordinamento interno, stabilendo che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Non si può ignorare che oggi, per merito della comunitarizzazione del nostro ordinamento, ritroviamo sicuramente la base giuridica del principio di legalità all'interno dell'art. 7 CEDU, che ribadisce gli stessi principi.
Tornando alla questione in esame, quindi, il problema si pone proprio in virtù del rispetto del suddetto principio di legalità atteso che, configurando l'ipotesi di tentata rapina impropria pur non essendo riusciti a sottrarre il bene (come la norma espressamente chiarisce), si prospetterebbe l'ipotesi di violazione dello stesso principio.
La tesi maggioritaria seguita dalla Corte di Cassazione, propende per considerare configurabile l'ipotesi di tentata rapina impropria allorquando non si sottragga la res altrui per cause esterne alla volontà, e ciò seguendo un ragionamento basato su diverse argomentazioni.
In primis, gli ermellini partono da una lettura sistematica e non meramente letterale dell'art. 628 c.p. II comma, considerando che il delitto di rapina è un delitto di evento, suscettibile di arrestarsi allo stadio del tentativo, anche qualora la sottrazione non si verifichi.
Se infatti un tentativo di furto sfocia in violenza o minaccia, finalizzate a conseguire l'impunità, deve concludersi che anche in caso di mancato conseguimento del bene avremo una rapina impropria incompiuta e quindi un tentativo di rapina impropria.
Prosegue la Corte dicendo che non è ravvisabile la possibilità di spacchettare una fattispecie complessa come quella della rapina, in altre due date dal concorso di furto e altro reato avente elemento costitutivo la violenza o la minaccia.
Questo perchè le due condotte che caratterizzano la rapina impropria (sottrazione e violenza), possono entrambe fermarsi al tentativo, e pertanto l'unitarietà della rapina impropria resta anche quando le stesse si arrestino al tentativo.
Il delitto rimane unico ed omogeneo.
Da ultimo, occorre sottolineare che attraverso la previsione del delitto di rapina, il legislatore ha voluto punire la condotta dell'autore del reato contro il patrimonio, che utilizzi violenza o minaccia, non essendo ragionevole pensare che lo stesso legislatore abbia voluto escludere colui che, utilizzando pur sempre violenza o minaccia, non sia riuscito nell'intento di sottrarre il bene per cause estranee alla sua volontà.
A contrapporsi a tale orientamento ci pensa la corrente minoritaria che, prendendo le mosse dalla famosa sentenza Jovanovich (3796/1999), la quale nega la configurabilità della rapina aggravata in caso di mancata sottrazione del bene dovendosi a tal proposito configurare il concorso tra tentato furto e un altro reato che abbia come elemento costitutivo la violenza o la minaccia, ripropone tale impostazione.
Ciò basandosi su un'analisi prettamente letterale del II com. dell'art. 628 c.p., il quale espressamente statuisce l'utilizzo della violenza o della minaccia “immediatamente dopo” la sottrazione del bene, sicchè nel caso quest'ultima manchi, la violenza successiva non potrà assurgere ad “atto idoneo, diretto in modo non equivoco, alla commissione di una rapina impropria” (definizione di tentativo data dall'art. 56 c.p.).
La dottrina maggioritaria appoggia quest'ultimo orientamento minoritario, ritenendo che altrimenti si violerebbe il principio di legalità oltre che quello di analogia.
La dottrina maggioritaria appoggia quest'ultimo orientamento minoritario, ritenendo che altrimenti si violerebbe il principio di legalità oltre che quello di analogia.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 34952/2012 pone un punto decisivo alla questione.
Infatti, affermano le SS.UU.,la giurisprudenza CEDU ricollega il principio di legalità ai valori di accessibilità della norma violata e prevedibilità delle sanzioni, riferite non alla previsione astratta della norma, bensì alla norma vivente, frutto cioè dell'interpretazione dei giudici, secondo un principio di legalità che potremmo definire “giurisprudenziale”, proprio perchè la giurisprudenza assume un ruolo centrale nella precisazione del contenuto del precetto penale.
Riguardo la fattispecie de quo, secondo le SS.UU. da ultimo citate, tali valori sono assolutamente rispettati in virtù di una giurisprudenza maggioritaria che ritiene configurabile il delitto di tentata rapina impropria.
La conclusione a cui si è giunti, nel delineare come possibile la fattispecie di tentata rapina impropria, a parer di chi scrive, è condivisibile in merito alla ratio legis su esposta.
Ossia, sarebbe riduttivo scomporre la figura criminosa complessa della rapina in altre due in concorso solo per non essere riusciti a sottrarre il bene per cause, peraltro, indipendenti dal volere umano.
Occorre però fare una precisazione in merito allo svilimento del principio di legalità, nonché di quello di tassatività, che si avrebbe nel caso in cui, come in questo appena esaminato, si ammettesse una formulazione indeterminata del precetto normativo, sanabile poi con un consolidato orientamento giurisprudenziale.
Conseguenza più pericolosa di tutto ciò sarebbe sicuramente l'impossibilità di una prevedibilità certa ed assoluta, sia della condotta criminosa, sia della conseguente sanzione.
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