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PARERE SVOLTO DI DIRITTO PENALE (2014): ESTORSIONE CONSUMATA, TENTATA O IMPOSSIBILE?

TRACCIA

Il commerciante Tizio sta subendo una richiesta estorsiva di denaro. La polizia, informata da fonte confidenziale, apprende che costui, ad un'ora prestabilita, deve consegnare in un dato luogo una grossa somma. La Polizia predispone, pertanto, un appostamento e interviene proprio nel momento in cui il pregiudicato Caio prende il sacchetto di plastica ricolmo di denaro, che Tizio poco prima aveva depositato nei pressi di un lampione. Si esprima parere motivato sulla configurabilità, nel caso in oggetto, di un reato consumato, tentato o impossibile.

SVOLGIMENTO

Ex art. 629 c.p., si realizza il reato di estorsione nel caso in cui qualcuno, mediante violenza o minaccia, costringe altri a compiere od omettere qualcosa, così procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Il reato è previsto al fine di tutelare due diversi interessi: quello all’integrità patrimoniale e quello alla libertà personale della vittima.

La norma identifica gli elementi che concorrono a realizzare la fattispecie: in particolare, dal lato attivo la condotta delittuosa si realizza dapprima con la costrizione mediante l’uso di violenza o minaccia e poi con l’acquisizione di un ingiusto profitto. 
Per quanto riguarda la minaccia, le applicazioni giurisprudenziali hanno portato ad ampliarne i margini di operatività, infatti viene considerata minaccia non solo quella esplicita, ma anche quella implicita e indiretta che, a ben guardare, è la modalità estorsiva più utilizzata, in particolare nel campo della criminalità organizzata. È un esempio di minaccia implicita la condotta di chiedere denaro ad un commerciante quale corrispettivo per un “servizio di vigilanza” dovuto alla rimessione in libertà di un pericoloso criminale, in quanto è evidente che la condotta è volta ad informare la vittima di una circostanza particolarmente pericolosa, così da indurla ad avere paura e conseguentemente a pagare quanto richiesto. 
La particolare estensione del concetto di minaccia è riscontrabile anche nella pronuncia di legittimità n. 10229/99, che rappresenta l'opinione di una giurisprudenza ormai consolidata, per cui è sufficiente che la minaccia sia potenzialmente idonea ad incutere timore, non essendo necessario verificare se ciò sia realmente avvenuto nel caso concreto.
La condotta deve procurare un ingiusto profitto e proprio in relazione a questo deve sussistere il dolo dell’agente, unitamente alla consapevolezza che la violenza o la minaccia siano utilizzate per ottenere tale vantaggio ingiusto (Cass. n. 15971/1990); questa consapevolezza configura l’elemento soggettivo del reato.

Dal punto di vista passivo, del soggetto che subisce le conseguenze negative del reato, si può ritenere, dalla lettura della norma, che il reato si realizzi quando la vittima venga costretta ad un’azione o ad un’omissione che cagioni a sé un danno e all’estorsore un vantaggio ingiusto.

Nel caso in esame Caio è stato colto in flagranza mentre si appropriava di un sacchetto contenente una grossa somma di denaro depositato da Tizio nei pressi di un lampione poco prima. L’azione sembra confermare quanto appreso dalle forze dell’ordine circa una richiesta estorsiva subita da Tizio.
Per valutare se nel caso in esame ci si trovi dinanzi ad un reato di estorsione consumato, tentato o impossibile è necessario capire se il momento della dazione del bene identifichi il momento consumativo del reato, configuri un mero tentativo o determini un reato impossibile, stante la presenza delle forze dell’ordine pronte ad intervenire sul posto.

Secondo la più recente giurisprudenza (Cass. n. 15971/2010), ai fini della consumazione in tema di estorsione è necessario che la persona offesa materialmente ponga in essere la condotta commissiva o omissiva richiesta.
La giurisprudenza è invece oscillante circa la rilevanza della realizzazione del profitto dal lato attivo e del pregiudizio dal lato passivo, ai fini della consumazione. 
Due pronunce risalenti, rispettivamente la n. 10877/87 e la n. 2416/1988, hanno dichiarato l’irrilevanza della realizzazione del profitto per l’estorsore e del momento in cui si è verificato il pregiudizio in capo al soggetto passivo.
Al contempo si è ritenuta l’estorsione un reato di danno, consumato nel momento in cui l’agente consegue un ingiusto profitto con altrui danno (, Cass. n. 9115/1996, Cass. n. 47/93 Cass. n. 5586/1983).

In effetti la lettera della norma, seppur in maniera discutibile, appare più consona alla seconda lettura in quanto pone come inciso la circostanza della costrizione, come se volesse intendere che la costrizione sia solo un mezzo per raggiungere il profitto ingiusto, vero obiettivo della condotta. In assenza di profitto e danno, dunque, il reato non potrebbe dirsi consumato.

Tale lettura è sostenuta dalle più recenti pronunce, per le quali il reato può ritenersi consumato nel momento in cui la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore anche nelle ipotesi in cui la consegna avvenga in presenza delle forze dell’ordine, che immediatamente arresti il reo e restituisca il bene all’avente diritto, quindi anche se il bene dovesse essere rimasto nella disponibilità dell’estorsore per pochi istanti e dovesse essere uscito per brevissimo tempo dalla sfera di disponibilità della vittima. 
La Corte di Cassazione ha espressamente escluso che in casi del genere possa configurarsi il tentativo, ritenendo al contrario realizzata la consumazione (così Cass. n. 27601/2009, conforme Cass. n. 8295/1988). Le pronunce in questione riescono in qualche modo a conciliare l’opinione per cui la consumazione si verifica con la realizzazione dell’ingiusto profitto e quella per cui è sufficiente la consegna. La Cassazione infatti ritiene che è nel momento e nel luogo della consegna che si consuma il reato, sussistendo l’ingiusto profitto e l’altrui danno. 

In simili circostanze, tuttavia, appare non univocamente sostenibile che con la dazione del bene si realizzino anche il profitto ed il danno, posto che, essendo presente la polizia, il bene rientrerà immediatamente nella disponibilità del proprietario. 
Probabilmente è da una simile discordanza di vedute che nasce il problema della configurabilità del reato impossibile per inidoneità dell’azione a produrre l’evento dannoso. 

L’art. 49 c.p. configura due diverse ipotesi di reato impossibile: la suddetta e quella per inesistenza dell’oggetto dell’azione, e lo stesso è previsto in omaggio al principio di offensività, che deve essere alla base di tutte le norme penali: in assenza di offesa al bene giuridico tutelato, non può sussistere reato.
L’inidoneità dell’azione dev’essere tale originariamente, strutturalmente ed indipendentemente da circostanze estrinseche ed estranee: la condotta deve mancare di quella causalità necessaria a procurare l’evento (così Cass. n. 36295/2005).
Nel caso di specie l’evento dannoso (inteso come lesione patrimoniale con ingiusto arricchimento dell’altra parte) non si è verificato perché le forze dell’ordine, previamente avvertite, l’hanno impedito. Trattasi di un evento esterno che, in quanto impossibile da conoscere a priori per l’estorsore, non rende inidonea la sua condotta che, in assenza del suddetto intervento, sarebbe stata astrattamente idonea a ledere il bene giuridico protetto dalla norma. Gli atti compiuti dal reo, infatti, vanno valutati ex ante ed in concreto (Cass, n. 14251/1986).

Tale principio è stato più volte sostenuto dalla Corte di Cassazione anche in tempi risalenti e del resto è una specificazione ovvia e necessaria al fine di distinguere il reato impossibile dal tentativo: nel primo caso la condotta è inidonea in maniera assoluta ed originaria, nel secondo la condotta è potenzialmente idonea, ma l’evento non si verifica, anche per cause esterne ed indipendenti dalla volontà del reo.

Proprio con riguardo al tentativo, in una fattispecie analoga alla presente, la Corte di Cassazione, nella pronuncia n. 8572/1983 ha precisato che se l’appostamento delle forze dell’ordine con conseguente arresto in flagranza di reato non configura un reato impossibile, tale condotta degrada il reato da consumato a tentato anche nel caso in cui il denaro sia rimasto in mano all’estorsore per un brevissimo lasso di tempo.
Tale pronuncia, nella sua seconda affermazione, non può ritenersi condivisibile a rigor di logica ed in virtù del mutato orientamento giurisprudenziale.

Un più recente orientamento del tutto opposto, consolidato da una pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 19/1999) e seguito dalle pronunce già citate del 2009 e del 2010, ritiene che in casi analoghi a quello in esame si configura consumazione del reato e non mero tentativo nel momento in cui la cosa estorta viene consegnata dal soggetto passivo all’estorsore e la consumazione non viene meno in caso di presenza della Polizia Giudiziaria che, intervenendo tempestivamente, distoglie la cosa dal reo per renderla alla vittima.

Del resto si potrebbe giungere alla medesima conclusione, ormai affermata in giurisprudenza sulla base di un semplice ragionamento, per cui se i beni giuridici protetti dalla norma sono la determinazione della vittima e il patrimonio, il tentativo si configura già prima che la consegna vada in porto, nel momento in cui la condotta violenta e minacciosa dell’agente è idonea a coartare la volontà della vittima e quindi a ledere uno dei beni giuridici tutelati, anche nel caso in cui la coartazione della volontà non si sia in concreto realizzata.

Infatti l’estorsione si compone di due diversi effetti: la costrizione è un evento del reato, il conseguimento dell’ingiusto profitto è un evento ulteriore. Ne consegue che se la violenza o minaccia non abbiano raggiunto lo sperato risultato della costrizione, si configura il tentativo, come stabilito dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 24068/2008.

Si può concludere, alla luce di quanto esposto e degli sviluppi della giurisprudenza in tal senso, che nel caso di specie il delitto di estorsione sia consumato, non potendo rientrare nella categoria del reato impossibile in quanto l’intervento della Polizia Giudiziaria, esterno e successivo rispetto alla condotta, non era idoneo ad annullarne l’efficacia intrinseca. 
Il delitto non può poi ritenersi tentato alla luce della pronuncia delle S.U., confermata dalla giurisprudenza più recente, che fuga ogni dubbio in merito al dibattito circa l’effetto consumativo della dazione.

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