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La storia infinita del "fatto di lieve entità" di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/1990 in tema di sostanze stupefacenti

Come precisato dalla Corte di Cassazione Sez. IV Penale nella Sentenza del 17/02/2014, n. 7363, che applica per la prima volta la novità introdotta dal decreto legge c.d. "Svuota-carceri", la "lieve entità” per quanto riguarda la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, integra ora una fattispecie autonoma di reato, e non più una circostanza attenuante .
L’art. 2 del  D.L. 143/2013, noto appunto come “Svuota-carceri”, ha  modificato il decreto del Presidente della Repubblica  9  ottobre  1990,  n. 309, stabilendo che “all'articolo 73, il comma 5 è sostituito dal seguente comma: 
“Salvo che il fatto costituisca più  grave  reato,  chiunque commette uno dei fatti previsti dal  presente  articolo  che,  per  i mezzi, la modalità  o  le  circostanze  dell'azione  ovvero  per  la qualità e quantità  delle sostanze, è  di lieve entità,  è  punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e  della  multa  da
euro 3.000 a euro 26.000."
la nuova formulazione va così a sostituire la precedente, a norma della quale:
“Quando, per i mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per la qualita' e quantita' delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entita', si applicano le pene della reclusione da uno a sei a anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.”
La precedente formulazione, peraltro, non era così cristallina nel definire il fatto di lieve entità come un’attenuante. La lettera della norma lasciava adito a non pochi dubbi, sui quali per anni la giurisprudenza e la dottrina si sono soffermate, non  raggiungendo uniformità di vedute.
Più precisamente, più di una volta il problema è stato sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la quale si è pronunciata (Cass. Sez. Un. 31 maggio 1991, n. 9148, Parisi, rv. 187930; Cass. Sez. Un. 21 giugno 2000, n. 17, Primavera, rv. 216668) ritenendo quella di cui al quinto comma dell’art. 73 una circostanza attenuante ad effetto speciale e non una fattispecie autonoma di reato rispetto a quelle descritte dai commi 1 ed 1 bis della stessa norma.
Questo in quanto tutti gli elementi (i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e quantità delle sostanze) da cui dipendeva la lieve entità secondo la formulazione letterale del comma 5 non differivano nella loro consistenza rispetto alle fattispecie previste dai commi 1 ed 1 bis dell’art. 73, ma semplicemente attribuivano ad esse una minore valenza offensiva.
La conseguenza della definizione del comma 5 come attenuante ne comportava, nei fatti, la valutazione nel giudizio di bilanciamento tra circostanze attenuanti ed aggravanti, come chiarito dalla Cassazione penale, Sezioni unite, 5 ottobre 2010, n. 35737, in materia di concorso tra lieve entità del fatto e cessione di droga ad un soggetto di minore età.
Non sono mancate opinioni di senso contrario, tra cui spicca quella del FLORA, che riteneva le condotte integranti l’ipotesi lieve come fattispecie autonome.
L’interpretazione della disposizione era fatta dall’autore sulla base di una lettura sistematica del comma 5, associato alle altre norme dell’ordinamento, più o meno correlate con l’art. 73 co. V e che in qualche modo lo richiamavano. Il giurista riteneva che le forme lessicali usate nelle norme esaminate fossero tali da indurre a considerare detta norma quale espressione di un reato autonomo ed indipendente rispetto la fattispecie ordinaria di cui ai co. 1 e 1 bis dell’art. 73 .
Un esempio di norma utilizzata per avallare tale tesi è Il 6° comma dell’art. 74 DPR 309/90, che recita “Se l'associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell'articolo 73, si applicano il primo e il secondo comma dell'articolo 416 del codice penale”.
In effetti la tesi non appare inconsistente, in quanto se quanto descritto al comma 5 fosse stato solo un’attenuante dei fatti già descritti nei commi precedenti dell’art. 73, sarebbe stato privo di senso il richiamo al comma 5 con riferimento ai fatti in esso descritti, suonando più pertinente il richiamo al comma 1.
La questione è ormai risolta con la nuova, più felice formulazione del comma, che già da sola basta per dedurre che quanto in esso descritto è un reato autonomo.
Il nuovo art. 73 comma 5 da un lato stabilisce l’applicazione residuale della norma, che si applica solo nel caso in cui il fatto non sia già previsto come più grave reato. Ciò lascia dedurre che il fatto configurato è esso stesso un reato.
Dall’altro lato si puntualizza la punibilità di chi commette uno dei fatti previsti dall’art. 73 comma 5 (“chiunque commette […]è punito”), laddove nella precedente formulazione vi era solo un riferimento all’applicazione dei minimi e massimi edittali di pena previsti nel comma.
Ad abbattere ogni eventuale dubbio circa la configurabilità di un reato autonomo, è opportuno citare il  comunicato stampa rilasciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri all’esito del Consiglio dei Ministri n. 41 del 17 dicembre 2013 e la relazione alla legge di conversione, che espressamente qualifica quella dell’art. 73, riformulato comma 5 come fattispecie autonoma di reato.
La nuova formulazione ha altresì diminuito di un anno il massimo edittale della pena prevista per la nuova figura di reato, rispetto a quanto stabilito nella precedente formulazione con riguardo a quella che era considerata un’attenuante del reato di della cessione a terzi di sostanza stupefacente, così dettando una disciplina più favorevole per l’imputato. 
Non a caso tale innovazione è stata inserita nel cosiddetto Decreto Svuota-carceri: le conseguenze della sua applicazione si ripercuoteranno sul fenomeno del microspaccio, in relazione al quale si adopererà un trattamento sanzionatorio meno pesante, con un utilizzo sempre più limitato della pena detentiva.
L’epopea che coinvolge il comma 5 dell’art. 73 D.P.R. 309/1990 non è tuttavia destinata a finire. Poco dopo la modifica legislativa di cui si è trattato, è stata emessa la Sentenza (25 febbraio 2014  n.32 Pres. Silvestri – Red. Cartabia), con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti per motivi di carattere procedurale (precisamente per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e quelle  introdotte nella legge di conversione, sottoposte al vaglio del Giudice Costituzionale).
Ciò che rileva ai fini dell’argomento in esame è che in seguito a tale pronuncia vi è caducazione delle disposizioni impugnate e reviviscenza dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e delle relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente.
Così l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 torna a prevedere un trattamento sanzionatorio differenziato tra gli illeciti concernenti le cosiddette “droghe leggere” (puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa, anziché con la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa), e per i reati concernenti le cosiddette “droghe pesanti” (puniti con la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella da sei a venti anni).
Il comma 5, pur nella nuova formulazione, continua a non fare alcuna differenziazione, dettando una pena unica e prestandosi così a sospetti di incostituzionalità. 
Circa i possibili scenari che si aprono sulle sue sorti in seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale, invito a leggere questo interessante articolo appena pubblicato sul sito www.altalex.com.

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