"Gli operatori informatici Alfa, Beta e Gamma, ricorrendo ad una frode informatica, procuravano a terzi, loro clienti, una riduzione delle imposte da pagare allo Stato.
Sulla base delle prime informazioni, il GIP disponeva con decreto il sequestro preventivo dei beni nei confronti di Alfa, di Beta e di Gamma fino all'equivalente di somme tali che, sommate, formavano un importo pari all'ammontare dei tributi oggetto degli sgravi.
Tale provvedimento veniva preso in seguito alla contestazione a tutti gli indagati del delitto di frode informatica di cui all'art. 640 ter c.p., nonchè all'espresso richiamo formulato dall'art. 640 quater c.p. all'art. 322 ter.
Dia il candidato un parere in ordine alla legittimità dei provvedimenti presi ed anche in ordine alla circostanza dell'assenza di profitto personale conseguente alla frode informatica."
La condotta posta in essere dagli operatori Alfa, Beta e Gamma ricade nell’ambito applicativo dell’art. 640 ter c.p., in quanto gli stessi, intervenendo senza diritto su dati, informazioni e programmi contenuti in un sistema informatico, hanno procurato ad altri un ingiusto profitto con relativo danno nei confronti della P.A. che ha subito la frode.
Il soggetto passivo del reato lascia denotare che la condotta rientra nel comma 2 della medesima norma, che prevede una pena maggiore in quanto il fatto è stato commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, così integrando la circostanza prevista ex art. 640, comma 2, n. 1 c.p.
Oltre a determinare un aumento dei limiti edittali della pena, la circostanza che la condotta rientri nel comma 2 comporta l’applicabilità del disposto del seguente art. 640 quater, che prevede per questi casi l’applicabilità, in quanto compatibile, dell’art. 322 ter c.p.
Quest’ultima disposizione, dettata relativamente ai delitti contro la pubblica amministrazione, prevede al comma 1 la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Se la confisca dei beni non è possibile, questi possono essere sostituiti da altri che, sebbene non siano diretto profitto e prezzo del reato, abbiano il valore corrispondente e siano nella disponibilità del reo. È la cosiddetta confisca per equivalente.
Spetta al Giudice determinare le somme di denaro o individuare i beni assoggettati a confisca.
Al fine di risolvere il caso proposto è necessario dapprima valutare se sussistano gli estremi per configurare il reato di cui all’art. 640 ter c.p. e poi stabilire la compatibilità della confisca con il caso di specie.
Quanto alla configurabilità del reato di frode informatica, non vi sono dubbi nel dare risposta positiva, essendo la condotta posta in essere dai tre chiaramente assimilabile a quella prevista dalla fattispecie astratta. A nulla vale la dichiarazione di non aver ottenuto alcun profitto personale dalla commissione del reato, in quanto lo stesso sussiste anche nel caso in cui il profitto ingiusto conseguente all’altrui danno si sia configurato in capo a soggetti diversi da quelli che materialmente hanno posto in essere la condotta criminosa, come si evince dalla lettera della norma.
La configurabilità della frode informatica in condotte analoghe a quella in esame è comprovata da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 9891/2011) che ha ritenuto tale reato suscettibile di concorso con quello di accesso abusivo ad un sistema informatico in una fattispecie in cui un dipendente dell’Agenzia delle Entrate, in concorso con altri soggetti, tra cui consulenti tributari, si era introdotto nel sistema informatico della P.A., inserendovi provvedimenti di sgravio fiscale illegittimi così da far apparire insussistente il credito erariale nei confronti di alcuni contribuenti.
Peraltro il reato è aggravato, in quanto commesso in danno di un ente pubblico.
La problematica che necessita di maggiore approfondimento è quella riguardante l’inciso dell’art. 640 quater c.p., per cui le disposizioni sulla confisca si osservano in tale fattispecie “in quanto applicabili”. Bisogna pertanto valutare gli eventuali limiti di applicabilità dell’art. 322 ter c.p. al caso in esame.
Va chiarito in primo luogo che la norma a cui l’art. 640 quater fa richiamo alla disciplina della confisca, tuttavia nel caso in esame la misura applicata è il sequestro preventivo in virtù dell’art. 321 c.p.p., che nel comma 2 dispone la possibilità di sottoporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.
Si tratta, quindi, di un’ipotesi di sequestro preventivo diversa da quella di cui al primo comma, per la cui applicabilità non occorre la presenza dei presupposti previsti nel comma 1, ma è sufficiente il presupposto della confiscabilità.
Trovandoci nel caso di specie in una situazione per cui è prevista la confisca, è applicabile il sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p. comma 2.
Nella sua più recente formulazione, l’art. 322 ter c.p. in tema di confisca si applica in toto ai reati tributari - tra cui rientra quello in esame- inclusa la parte in cui la norma prevede la confisca per equivalente.
Prima del 2012 la confisca per equivalente poteva riguardare solo il prezzo del reato, così venivano esclusi dall’ambito di applicazione di questa parte della norma i reati tributari, per i quali non esiste alcun prezzo del reato, ma solo un profitto, consistente nel risparmio economico dovuto all’evasione dai tributi. Il profitto è pari all’ammontare dell’imposta evasa, essendo il frutto dell’evasione un vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita, come ha recentemente precisato la Cassazione nelle pronunce n. 1199/2012 e 1843/2012.
Sulla scia di numerose pronunce giurisprudenziali, che per i reati tributari estendevano la confisca per equivalente anche al profitto (cfr. Cass. n. 8982/2011, Cass. n. 25890/2010), la Legge n. 190/2012 ha normativamente previsto quest’opzione, aggiungendo le parole “o profitto” al comma 1 dell’art. 322 ter c.p..
Ciò vuol dire che ora non solo la confisca in senso stretto può applicarsi sia al prezzo che al profitto del reato, ma anche quella per equivalente, con la conseguenza che non è necessario che ciò che viene sequestrato sia effettivamente il provento del reato, potendo consistere in una somma che appunto equivale all’importo truffaldinamente ottenuto.
A sostegno di tale impostazione è possibile richiamare decisioni antecedenti all’entrata in vigore della norma, ma che dettano principi validi in generale per i casi di confisca per equivalente. In particolare si ricordi che è importante che i beni sequestrati per equivalente rientrino nella disponibilità del reo ed abbiano valore corrispondente a quello del profitto o del prezzo del reato, senza che sia necessario dimostrare un nesso di pertinenzialità tra le cose confiscabili e delitto, me essendo sufficiente che il reato sia stato perpetrato (Cass. n. 1927/2005 e 11902/2005).
Ancor più chiara, recente e pertinente al caso di specie è la pronuncia n. 1261/2013, in tema di reati tributari. In tale occasione la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che se il profitto del reato per cui è ammissibile la confisca consiste in una somma di denaro, il sequestro preventivo è adottabile a prescindere dalla verifica che le somme provenienti dal delitto siano confluite nella disponibilità dell’indagato. È necessario e sufficiente ad adottare il sequestro che il denaro sequestrato sia equivalente per valore al prezzo o al profitto del reato.
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca non solo è legittimo in caso di reati tributari, ma può perdurare finchè esiste l’illecito arricchimento dovuto all’azione, cioè finchè non si adempie all’obbligazione tributaria (così Cass. n. 11147/2012).
Alla luce della completa analisi delle norme coinvolte nella vicenda, delle loro interconnessioni e delle più recenti pronunce giurisprudenziali è corretto sostenere che l’operato sequestro nei confronti dei consulenti sia legittimo, non essendo rilevante l’assenza di profitto in capo agli stessi né ai fini della configurabilità del reato di truffa informatica, né ai fini della legittimità del sequestro preventivo. Il sequestro va compiuto in capo a chi ha posto in essere la condotta illecita e non in capo a chi se ne è concretamente avvantaggiato, tant’è che è legittimo il sequestro per equivalente di somme che non hanno necessariamente una pertinenza con il delitto, purchè siano corrispondenti per valore all’ammontare dei tributi per i quali era stato illegittimamente creato uno sgravio. Ciò accade, nel caso di specie, in quanto gli illeciti sgravi costituenti profitto del reato sono derivanti da un comportamento totalmente delittuoso, pur se posto in essere da chi non se ne è direttamente avvantaggiato.
Disclaimer: la traccia del parere è liberamente ispirata da un parere rinvenuto nel testo edito da CEDAM, "Pareri motivati di diritto penale", a cura di Giuseppe Cassano (2012).
Lo svolgimento è integralmente scritto di mio pugno.
Se deciderai di svolgere questo parere e se dovessi averne voglia, puoi inviarmi tramite commento o messaggio privato via e-mail la tua soluzione, sarò felice di leggerla e di discuterne con te!
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