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Rapina impropria o furto aggravato?

Sovente all’interno del Codice Penale vengono disciplinate fattispecie di reato che, se nella visione puramente astratta e teorica sono ben tipizzate e distinte, nella pratica possono risultare confondibili.
È il caso della qualificazione del reato come rapina impropria o come furto aggravato nella circostanza in cui, in seguito alla sottrazione di un bene, venga esercitata violenza nei confronti delle forze dell’ordine intervenute all’inseguimento del colpevole, al fine di impedirne l’intervento.
Si può sostenere agevolmente la configurabilità della rapina impropria, nonostante la violenza sia stata esercitata nei confronti delle forze dell’ordine e non della vittima della sottrazione, anche allorquando la violenza sia stata posta in essere in luogo diverso da quello dell’inizio della sottrazione. 
Ex art. 628 comma 2 c.p., la rapina può dirsi impropria quando viene adoperata violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità.
Non è richiesta alcuna “contestualità” della violenza rispetto alla sottrazione, caso in cui ci si trova dinanzi all’ipotesi di rapina propria, come disciplinata dallo stesso art. 628 c.p. al comma 1.
Quello che rileva ai fini della distinzione tra rapina impropria e furto aggravato è il significato da attribuire al termine “immediatamente” utilizzato nella lettera della norma per collegare funzionalmente la sottrazione alla violenza o minaccia.
Come chiarito dalla Suprema Corte, di certo non si può interpretare l’espressione in termini rigorosamente letterali, bensì  in riferimento alle nozioni di flagranza e quasi flagranza. La rapina impropria si configura, conseguentemente, quando tra la sottrazione e l’uso della violenza o minaccia intercorra un arco di tempo che non interrompe il nesso di contestualità dell’azione complessiva. Ciò vuol dire che entrambe le attività (sottrazione e violenza o minaccia) devono, in sostanza, poter essere considerate come un’azione unitaria posta in essere per impedire al derubato di tornare in possesso della refurtiva o per garantire l’impunità al malvivente. 
La Giurisprudenza si esprime con costanza in tal senso (cfr., tra le altre, Cass. n. 40421/2012, Cass. n. 39924/2008, Cass. n. 42594/2009): la contestualità dell’azione dev’essere intesa come tale nel suo insieme, nel suo fine ultimo di impedire il recupero del maltolto o la cattura del colpevole. Ne deriva che la violenza dev’essere esercitata mentre l’impossessamento della cosa è ancora in itinere, così da configurare una quasi flagranza (così Cass. n. 23418/2007). 
La Corte di Cassazione ha dato, con riguardo alla rapina impropria, una chiara definizione di “quasi flagranza”, stabilendo che individua “la situazione nella quale gli investigatori, acquisita la conoscenza della commissione di un reato appena realizzato, o per autonoma percezione o perché messi al corrente del fatto da chi vi ha assistito, si pongano immediatamente all’inseguimento dei responsabili, senza frapporre atti di approfondimento investigativo, anche protraendo le ricerche per più tempo, ma senza soluzione di continuità” (Cass. n. 40421/2012).
Ne deriva che la violenza può essere esercitata per le finalità di cui all’art. 628 comma 2 c.p. anche nei confronti non della persona offesa, ma delle forze dell’ordine, ed in luogo diverso da quello in cui è avvenuta la sottrazione, senza che ciò osti alla qualificazione del reato di rapina impropria; infatti la Suprema Corte ha chiarito che per la configurazione del reato è sufficiente che sia ancora in atto non la sottrazione, ma l’assicurazione dell’impossessamento della cosa, o lo svolgimento di reazione difensiva privata o repressiva pubblica, purchè tra la sottrazione e l’uso della violenza o minaccia intercorra un intervallo di tempo idoneo a realizzare, secondo principi di ordine logico, i requisiti della quasi flagranza (cfr. Cass. n. 3721/1991).

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